Difetto di lieve entità: consumatore può ottenere la risoluzione del contratto.

L’azione redibitoria resta esperibile nelle ipotesi in cui la sostituzione o la riparazione del bene non siano state impossibili né eccessivamente onerose (Cassazione civile, ordinanza n. 10453/2020).
L’art. 130 c. 10 Codice del Consumo esclude la possibilità di esperire il rimedio della risoluzione del contratto, in caso di vizio di lieve entità per il quale non sia stato possibile o risulti eccessivamente onerosa la riparazione o la sostituzione.

La norma non va interpretata nel senso di negare, in assoluto, l’actio redhibitoria in ipotesi di difetto di lieve entità. Viceversa, la risoluzione è liberamente esperibile da parte del consumatore, qualora la riparazione o la sostituzione siano praticabili.

Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza 7 giugno 2020, n. 10453

La vicenda

Un uomo citava in giudizio la società da cui aveva acquistato la macchina, unitamente alla società importatrice della stessa, al fine di ottenere la risoluzione del contratto, la condanna alla restituzione delle somme corrisposte e al risarcimento del danno. Il compratore lamentava il fatto che la vettura emettesse uno strano rumore al momento dell’avviamento, inoltre, si doleva del cattivo odore all’interno dell’abitacolo. In primo grado, le richieste attoree venivano rigettate e il Tribunale pronunciava il difetto di legittimazione passiva della società importatrice dell’automobile, in quanto non era la controparte del contratto di cui l’attore chiedeva la risoluzione. In sede di gravame, invece, il giudice dichiarava la risoluzione del contratto, condannava la venditrice alla restituzione delle somme versate dal compratore, oltre interessi e, per il resto, confermava la sentenza di primo grado (che negava il risarcimento del danno). Secondo la Corte d’Appello, il bene non era conforme al contratto, giacché neppure la sostituzione del pezzo difettoso (il motorino di avviamento e poi il volano) aveva eliminato il rumore da strofinio in fase di accensione. La questione portata all’attenzione della Cassazione riguarda la possibilità per il consumatore di chiedere la risoluzione del contratto anche in caso di vizio di lieve entità. Prima di analizzare il decisum, ripercorriamo brevemente il contenuto dell’art. 130 del Codice del Consumo.

Difetto di conformità e diritti del consumatore

L’art. 130 Codice del Consumo è rubricato “diritti del consumatore” e si occupa dei diritti dell’acquirente in caso di difetti di conformità del bene di consumo acquistato. Tra i beni di consumo rientrano anche i beni mobili registrati (art. 128 d. lgs. 206/2005), pertanto, l’acquisto di un’autovettura è soggetta al d. lgs. 206/2005, purché il contraente rivesta la qualità di consumatore, vale a dire si tratti di una persona fisica che agisca per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. La disciplina consumeristica riguarda segnatamente la garanzia di conformità del bene e i rimedi esperibili dal contraente debole.

È previsto che sul venditore gravi l’obbligo di consegnare al consumatore un bene conforme al contratto di compravendita, ossia idoneo all’uso, conforme alla descrizione e in possesso delle qualità che ci si attende da un bene della stessa categoria (art. 129 d. lgs. 206/2005).

Innanzitutto,

  • il venditore è responsabile verso il consumatore per qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della consegna del bene (art. 130 c. 1 d. lgs. 206/2005).

Se il bene presenta dei difetti, ad esempio, se la vettura acquistata dal consumatore fa rumori strani ovvero non si avvia, cosa può fare l’acquirente per tutelarsi?

In linea generale, in caso di difetto di conformità, il consumatore ha diritto alternativamente (art. 130 c. 2 d. lgs. cit.):

  • al ripristino, senza spese a suo carico, della conformità del bene (mediante la riparazione o la sostituzione),
  • alla riduzione del prezzo,
  • alla risoluzione del contratto.

In particolare, il consumatore può scegliere una congrua riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto nei seguenti casi (art. 130 c. 7 d. lgs. cit.):

  • la riparazione e la sostituzione sono impossibili o eccessivamente onerose;
  • il venditore non ha provveduto alla riparazione o alla sostituzione del bene entro un termine congruo;
  • la sostituzione o la riparazione precedentemente effettuata ha arrecato notevoli inconvenienti al consumatore.

Infine, un difetto di conformità di lieve entità non dà diritto alla risoluzione del contratto se esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione:

  • non è stato possibile,
  • o è eccessivamente oneroso (art. 130 c. 10 d. lgs. cit.).

È ammessa la risoluzione in caso di difetto di lieve entità?

La società venditrice lamenta che il giudice del gravame abbia disatteso il disposto dell’art. 130 c. 10 d. lgs. 206/2005 (art. 1519 quater c.c. applicabile ratione temporis), in materia di vendita di beni di consumo. La norma, infatti, dispone che: «un difetto di conformità di lieve entità per il quale non è stato possibile o è eccessivamente oneroso esperire i rimedi della riparazione o della sostituzione, non dà diritto alla risoluzione del contratto». Secondo il venditore, quindi, al consumatore era preclusa l’azione di risoluzione. In particolare, all’auto era stato sostituito il motorino di avviamento e il volano, ma era residuato un deficit di lubrificazione; tale difetto era da considerarsi di lieve entità, come riconosciuto dal giudice di primo grado, pertanto, la Corte d’Appello aveva errato nel dichiarare la risoluzione del contratto.

La Cassazione considera infondata la doglianza. Infatti, secondo gli ermellini, il consumatore ha diritto ad ottenere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, anche in caso di difetto di lieve entità, qualora la riparazione del bene sia stata possibile e non eccessivamente onerosa. Ne consegue che sia scorretta l’interpretazione della norma (art. 130 c. 10 d. lgs. cit.) che escluda sempre il diritto alla risoluzione del contratto in ipotesi di vizi lievi. Il giudice di merito, nell’esercizio del suo discrezionale apprezzamento, ha ritenuto che la vettura non fosse conforme al contratto di vendita, in considerazione dell’affidabilità che un’automobile nuova, di un certo prezzo, deve garantire.

L’importatore non è legittimato passivo in caso di risoluzione contrattuale

Come abbiamo visto, l’acquirente aveva citato in giudizio anche l’importatore della vettura e i giudici di merito avevano dichiarato il difetto di legittimazione passiva. La Suprema Corte ribadisce che il rimedio della risoluzione del contratto, esperito dall’attore, poteva essere rivolto solo alla controparte, ossia al venditore dell’automobile. A nulla vale che un ispettore della società importatrice fosse intervenuto nella fase di riparazione, infatti, il suddetto intervento accede ai rapporti contrattuali interni tra la venditrice e la distributrice.

Il ricorrente lamenta che sull’importatore graverebbe un obbligo di garanzia verso il compratore. Infatti, la legge (art. 1519 bis c. 2 c.c. applicabile ratione temporis) definisce il produttore come il fabbricante di un bene di consumo, l’importatore o qualsiasi altra persona che apponga sul bene il nome, marchio o altro segno distintivo. Quindi, v’è una equiparazione tra produttore e importatore. La Corte censura siffatto ragionamento, in quanto l’equiparazione a cui fa cenno il ricorrente riguarda il diritto di regresso del venditore verso il produttore (art. 131 Codice del Consumo, prima art. 1519 quinquies c.c.). La disciplina sulla vendita dei beni di consumo prevede che il venditore, responsabile verso il consumatore, a causa di un difetto di conformità imputabile ad un’azione o ad un’omissione del produttore, di un precedente venditore o di qualsiasi altro intermediario, abbia diritto di regresso, salvo patto contrario o rinuncia, nei confronti dei soggetti responsabili facenti parte della suddetta catena distributiva.

Al lume di quanto sopra, l’equiparazione tra produttore e importatore non va intesa in termini assoluti, ma limitatamente all’esercizio dell’azione di regresso da parte del venditore, pertanto, è infondata la pretesa di ravvisare una responsabilità diretta della società importatrice della vettura in relazione al difetto di conformità della stessa. In tal senso, depone anche la lettura dell’art. 103 c. 1 lett. d) Codice del Consumo che esclude un’equiparazione in via generale tra produttore e importatore.

Beninteso, il consumatore è libero di esperire l’azione di risarcimento danni verso il produttore – così come definito dalla legge – nondimeno, nel caso di specie, egli ha agito in via redibitoria (ex art. 1492 c.c. e 1519 quater c.c. – ora art. 130 Codice del Consumo) e, pertanto, l’importatore non è legittimato passivo.

Conclusioni

La Suprema Corte, nella sentenza in commento, affronta molteplici tematiche, per quanto qui di interesse, afferma che la risoluzione del contratto sia un rimedio esperibile dal consumatore anche in caso di difetto di lieve entità. Infatti, l’art. 130 c. 10 Codice del Consumo non esclude in assoluto l’actio redhibitoria, la quale resta esperibile nelle ipotesi in cui la sostituzione o riparazione del bene non siano state impossibili né siano eccessivamente onerose. In tali circostanze, una volta scaduto il termine congruo per la sostituzione o riparazione, senza che il venditore vi abbia provveduto, ovvero se le stesse abbiano arrecato un notevole inconveniente, il consumatore può agire per la riduzione del prezzo ovvero per la risoluzione del contratto, pur in presenza di un difetto di lieve entità.

cass. civ. sez. civ. II n. 10453 2020

 

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